La disabilità è un’onestà di forma che richiede forme di onestà.


Il percorso fotografico ha come tema lo sguardo e l’impatto emotivo e personale di un giovane educatore sulla disabilità.

Questo sguardo è anche nostro, di Costruire Integrazione: lo intendiamo come avvicinarsi alla persona fragile, alla diversità, allo sconosciuto e scoprire ricchezze imprevedibili, inattese.

All’interno di un progetto di autonomia e sollievo, è maturato il desiderio di fermare con l’immagine alcuni momenti e attraverso queste fotografie, parlare dell’opportunità, dell’occasione di crescita umana personale, offerta dall’incontro con la fragilità:

crescere nella normalità, nel quotidiano, essere scoperti e accolti come fonte di ricchezza e risorsa umana, non è cosa scontata.

E’ così che a noi genitori è maturata l’idea di creare un percorso fotografico per offrire la possibilità ad altre persone di entrare in contatto con questa realtà umana.

A volte è sufficiente sporgersi verso l’altro, chiunque esso sia, per innescare un processo di crescita, un viaggio interiore lontano dai nostri abituali luoghi mentali, lontano, appunto dal luogo comune.

E’ un messaggio che va contro corrente, non c’è la volontà di esibire nessuno, non esiste il tornaconto economico o d’immagine, non c’è pietismo né autocelebrazione, non c’è pretesa artistica: c’è l’incontro e la scoperta di un’umanità profonda, viva, che alcuni giovani educatori scoprono come opportunità di crescita personale e di gruppo.

Il visitatore non è spettatore passivo, gli viene chiesto di mettersi in gioco, di decidere con un atto di volontà personale, di scostare manualmente i teli che oscurano le dodici fotografie.

Si è pensato di allestire il percorso fotografico presso lo spazio universitario di Scienze della Formazione, frequentato da giovani che studiano e si formano in ambito sociale e educativo: è l’occasione per seminare su un terreno fertile e probabilmente sensibile alla proposta di mettersi in gioco, disponibile alla scoperta, sollecito al porsi domande.

Lungo il percorso abbiamo costruito un “muretto di bavaglie” per aiutare il visitatore a visualizzare concretamente una delle necessità quotidiane della cura: vi sareste mai immaginati che una persona con disabilità in sei mesi utilizza 700 bavaglie?

Inoltre abbiamo voluto esporre alcuni libri scritti in simboli per sottolineare che l’incontro con persone che hanno una capacità parziale o nulla di comunicare verbalmente non è precluso. La modalità verbale non è l’unica possibile per entrare in relazione: al di là delle parole c’è la volontà di comunicare, attraverso gesti, mimiche facciali, sguardi, vocalizzi e simbologie.

I commenti che accompagnano il percorso sono stati scritti utilizzando i simboli Rebus, potete lasciare la vostra impressione sul libro che trovate lungo il percorso fotografico.